La terza fatica di Ercole - GEMELLI

 LA TERZA FATICA

Raccolta dei Pomi Aurei delle Esperidi

(Gemelli, 21 Maggio - 20 Giugno)



Il Mito

Colui Che presiede la Camera del Consiglio del Signore aveva osservato le fatiche del figlio dell’uomo che è un figlio di Dio. Egli e il Maestro videro la terza grande Porta aprirsi innanzi al figlio dell’uomo, a rivelare una nuova opportunità di percorrere il Sentiero. Notarono come questi si alzasse per prepararsi ad affrontare il suo compito.

“Sia pronunciata la parola che protegge l’albero sacro. Che Ercole sviluppi il potere di cercare senza scoraggiamento, senza disinganni o troppa fretta. Che venga sviluppata la perseveranza. Finora ha agito bene”.

E così la parola echeggiò.

In un paese lontano cresceva l’albero sacro, l’albero della saggezza, sul quale maturavano i pomi d’oro delle Esperidi. La fama di questi dolci frutti era giunta fino a terre lontane e tutti i figli dell’uomo, che si riconoscevano del pari figli di Dio, li desideravano. Anche Ercole era a conoscenza di quei frutti e quando la parola risuonò ingiungendogli di cercarli, egli cercò il suo Maestro e Gli chiese in qual modo avrebbe potuto trovare l’albero sacro e coglierne i frutti.

“Insegnami la via, o Maestro della mia anima. Cerco le mele, ne ho immediato bisogno per me. Mostrami la via più veloce e io andrò!”

“No, figlio mio”, rispose il Maestro, “la via è lunga. Due sole cose ti voglio confidare e poi dovrai essere tu a provare la verità di ciò che dico. Ricordati che l’albero sacro è ben custodito.

Tre leggiadre fanciulle ne hanno cura e proteggono bene i suoi frutti. Un drago con cento teste protegge le fanciulle e l’albero. Guardati dal fare uno sforzo troppo grande e da astuzie troppo sottili per la tua comprensione. Vigila bene. La seconda cosa che desidero dirti è che la tua ricerca ti porterà ad incontrare sul Sentiero cinque grandi prove. Ciascuna di esse ti offrirà materia per aumentare saggezza, comprensione, abilità e opportunità. Sii vigile! Temo, figlio mio, che non riuscirai a riconoscere questi aspetti sul Sentiero. Ma solo il tempo lo dimostrerà.

Dio ti aiuti nella tua ricerca.”

Con fiducia, tutto preso dall’idea del successo per la sua impresa, Ercole s’incamminò sul Sentiero, sicuro di sé, della sua saggezza e della sua forza. Passò per la terza Porta, dirigendosi a nord. Percorse tutta la regione cercando l’albero sacro, ma non lo trovò. Chiese a tutti coloro che incontrava, ma nessuno seppe indicargli la via; nessuno conosceva quel luogo. Il tempo passava ed egli continuava a cercare, vagando di luogo in luogo, spesso ritornando sui suoi passi verso la terza Porta. Triste e scoraggiato, continuava però a cercare ovunque.

Il Maestro, che lo osservava da lontano, gli mandò Nereo per vedere se potesse aiutarlo.

Molte volte Nereo gli si presentò sotto svariate forme e con parole diverse di verità, ma Ercole non rispose né riconobbe in lui il messaggero che era. Per quanto abile nelle parole e saggio, della saggezza profonda di un figlio di Dio, Nereo fallì perché Ercole era cieco e non riconosceva l’aiuto così sottilmente offerto. Ritornato infine tutto triste dal Maestro, Nereo gli disse della sua impossibilità di aiutarlo.

“La prima delle cinque prove minori è superata”, replicò il Maestro, “poiché questa è caratterizzata dal fallimento. Che Ercole proceda.” Non trovando alcun albero sacro sulla via del nord, Ercole si volse verso il sud e nel paese delle tenebre continuò la sua ricerca. Dapprima immaginò un rapido successo, ma Anteo, il serpente, gli venne incontro su quella via e lottò con lui, sopraffacendolo ogni volta.

“Esso custodisce l’albero”, pensò Ercole, “come mi è stato detto, perciò l’albero deve essere vicino a lui. Debbo eluderne la sorveglianza ed abbatterlo, poi cogliere i frutti”. Ma, pur lottando con tutta la sua forza, non vi riuscì.

“Dov’è il mio errore?”, si chiese Ercole. “Perché Anteo può vincermi? Persino da bambino uccisi un serpente nella mia culla. Lo strangolai con le mie mani. Perché non ci riesco ora?”

Riprese a lottare con tutte le sue forze, afferrò il serpente con ambo le mani e lo sollevò in aria, lontano da terra. Ed ecco! L’impresa fu compiuta. Anteo, vinto, parlò: “Verrò di nuovo sotto altra forma all’ottava Porta. Preparati a lottare ancora.”

Il Maestro, osservandolo da lontano, aveva visto tutto quello che era accaduto e parlò a Colui Che presiedeva la Camera del Consiglio del Signore, riferendo l’impresa: “La seconda prova è superata. Il pericolo è scongiurato. Il successo contraddistingue a questo punto la sua via.” E il grande Che presiede disse: “Proceda”.

Felice e fiducioso, Ercole, sicuro di sé e con rinnovato coraggio, proseguì la ricerca. Si volse ad occidente ma così facendo andò incontro ad un disastro. Egli entrò nella terza grande prova senza riflettere, e il suo cammino subì un lungo ritardo.

Ciò avvenne perché lì incontrò Busiride, il grande arci-ingannatore, figlio delle acque, della stirpe di Poseidone. Suo è il compito di illudere i figli dell’uomo, con parole di apparente saggezza. Egli proclama di conoscere la verità ed è subito creduto. Dichiara con belle parole: “Io sono il maestro. Posseggo il dono della verità, offritemi sacrifici. Accettate tramite me un modo di vivere, poiché nessuno, all’infuori di me, sa. La mia verità è giusta. Qualsiasi altra verità è errata e falsa. Ascoltate le mie parole, state con me e vi salverete”. Ed Ercole obbedì, ma ogni giorno diventava più debole nel suo proposito (la terza prova) e non cercava più l’albero sacro. La sua forza era minata. Egli amava, adorava Busiride ed accettava tutto ciò che diceva. Di giorno in giorno divenne più debole, finché il suo amato istruttore lo mise su un altare e ve lo tenne legato un anno intero. Ma ecco che un giorno, all’improvviso, lottando per liberarsi e cominciando lentamente a vedere Busiride per quello che era, gli vennero alla mente le parole pronunciate molto tempo prima da Nereo: “La verità sta dentro di te. Vi sono in te un potere, una forza e una saggezza superiori. Volgiti all’interno e lì evoca la forza e il potere che sono eredità di tutti i figli degli uomini che sono anche figli di Dio.” Il prigioniero giaceva silenzioso sull’altare, legato ai quattro angoli da ben un anno. Poi, con la forza che è quella di tutti i figli di Dio, spezzò i suoi lacci, afferrò il falso maestro (che gli era sembrato tanto saggio) e lo legò al suo posto sull’altare. Non disse parola, ma lo lasciò lì ad imparare.

Il Maestro, che l’osservava da lontano, notando il momento di sgancio, si volse verso Nereo dicendogli: “La terza grande prova è stata superata. Tu gli hai insegnato come affrontarla ed al momento opportuno ne ha tratto profitto. Che prosegua sul Sentiero e impari il segreto del successo.”

Avvilito, e pieno d’interrogativi, Ercole continuò la sua ricerca peregrinando in terre lontane.

L’anno trascorso prono sull’altare gli aveva insegnato molto. Con maggiore saggezza proseguì per la sua via.

Ad un tratto si fermò. Un grido di profonda angoscia colpì il suo orecchio. Alcuni avvoltoi che volteggiavano su di una roccia lontana attirarono la sua attenzione; poi, di nuovo, quel grido riecheggiò. Doveva continuare il suo cammino, oppure cercare chi sembrava aver bisogno d’aiuto e così ritardare i suoi passi? Rifletté sul problema del ritardo; aveva perduto un anno, sentiva che doveva affrettarsi. Di nuovo quel grido lacerante si udì ed Ercole, a rapidi passi, corse in aiuto del fratello. Trovò Prometeo incatenato ad una roccia, in preda ad atroci tormenti a causa degli avvoltoi che gli laceravano il fegato, uccidendolo lentamente. Ercole spezzò la catena e liberò Prometeo, ricacciò gli avvoltoi nei loro covi e lo curò fino alla guarigione delle sue ferite. Poi, avendo perso molto tempo, si rimise in cammino.

Il Maestro, che l’osservava da lontano, disse al suo allievo che cercava queste chiare parole, le prime che gli venivano dette dall’inizio della sua ricerca: “Il quarto stadio del cammino che conduce all’albero sacro è superato. Non c’è stato alcun ritardo. Sul Sentiero scelto, la regola che affretta ogni successo è “Impara a servire”.

Colui Che presiedeva la Camera del Consiglio disse: “Si è comportato bene. Che continui le prove”.

La ricerca continuò in tutte le direzioni; a nord, a sud, ad est e ad ovest, Ercole cercava l’albero sacro senza trovarlo. Venne un giorno in cui, esausto per l’angoscia e il lungo viaggiare, sentì dire da un pellegrino che passava per la via, che l’albero si poteva trovare nei pressi di una montagna molto distante. Fu la prima notizia giusta che gli pervenne. Volse quindi i suoi passi verso gli alti monti dell’est e, in una splendida giornata di sole, scorse l’oggetto della sua ricerca; subito si affrettò. “Ora toccherò l’albero sacro”, gridò nella sua gioia, “abbatterò il drago di guardia, vedrò le fanciulle tanto famose e coglierò i pomi aurei”.

Ma di nuovo si arrestò con un senso di profonda pena. Di fronte a lui stava Atlante, vacillante sotto il peso del mondo che portava sulle spalle. Sulla sua faccia erano evidenti i segni della sofferenza; le sue membra erano contratte dal dolore, i suoi occhi erano chiusi per il tormento.

Egli non chiedeva aiuto, non vedeva Ercole, ma rimaneva dolorosamente chino sotto il peso del mondo. Ercole lo guardò tremante, valutò la portata di quel peso e di quel dolore e dimenticò la sua ricerca. L’albero sacro ed i pomi svanirono dalla sua mente; egli cercava soltanto di aiutare il gigante e di farlo senza indugio. Si precipitò innanzi e si affrettò a togliere il peso dalle spalle del proprio fratello, mettendolo sulle proprie, assumendo così su di sé il peso del mondo. Chiuse gli occhi nel tendersi per lo sforzo ed ecco! il pesante fardello rotolò via ed egli si ritrovò libero e così anche Atlante.

Innanzi a lui stava il gigante e nelle sue mani teneva le mele d’oro che con amore porgeva ad Ercole. La ricerca era finita.

Le tre sorelle reggevano altri pomi d’oro, che ugualmente misero nelle sue mani. Egle, la bella fanciulla, gloria del sole al tramonto, gli disse, mettendogli un pomo in mano: “La Via per giungere a noi è sempre segnata dal servizio. Le azioni amorevoli sono le pietre miliari del Sentiero”. Poi Eriteia, che custodiva la porta attraverso la quale tutti devono passare prima di restare soli innanzi a Colui Che Presiede il Consiglio, gli diede un’altra mela, sulla quale, incisa nella luce, era scritta in oro la parola: Servizio. “Ricordalo”, disse, “non lo dimenticare”.

Infine giunse Esperia, meraviglia della stella della sera, che gli disse con chiarezza ed amore: “Và e servi e, d’ora innanzi e per sempre, calca la via di tutti i servitori del mondo”. “Allora vi rendo questi pomi per coloro che seguiranno”, disse Ercole, e tornò là donde era venuto.

Quando fu al cospetto del Maestro fece il resoconto di quanto era accaduto. Il Maestro gli rivolse parole di incoraggiamento, quindi, indicando la quarta Porta, gli disse: “Oltrepassa quella Porta, cattura la cerva e ritorna al Sacro Luogo”.


IL TIBETANO

(Fonte: Alice A. Bailey, Le Fatiche di Ercole)


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