La sesta fatica di Ercole - VERGINE

LA SESTA FATICA

Il Cinto di Ippolita

Vergine (22 Agosto - 21 Settembre)


Il Mito

Colui Che presiede il Concilio chiamò il Maestro che sorvegliava Ercole. “Il tempo si avvicina”, egli disse, “che cosa fa il figlio dell’uomo che è anche figlio di Dio? È preparato a cimentarsi nuovamente con un avversario di genere diverso? Può passare adesso per la sesta grande Porta?” “Si”, rispose il Maestro. Era sicuro che quando la parola fosse risuonata, il discepolo si sarebbe presentato, pronto per la nuova fatica. E ciò disse a Colui che presiede la Camera del Consiglio del Signore. Ed allora la parola risuonò: “Sorgi, o Ercole, passa per la sesta grande Porta”. Un’altra parola fu pronunciata, non per Ercole, ma per coloro che dimoravano sulle rive del vasto mare. Essi ascoltarono e compresero.

Su quei lidi dimorava la grande regina che regnava su tutte le donne del mondo allora conosciuto. Esse erano le sue vassalle e guerriere intrepide. Nel suo regno non vi era neanche un uomo. Solo donne circondavano la loro regina. Ogni giorno, nel tempio della luna, esse adoravano Marte, il dio della guerra, e gli offrivano sacrifici.

Di ritorno dall’annuale visita alle dimore degli uomini, riunite nel recinto del tempio, le guerriere attendevano la parola d’Ippolita, loro regina, che ritta sui gradini dell’alto altare, portava il cinto donatole da Venere, dea dell’amore. Questo cinto era un simbolo dell’unione conquistata col conflitto, con le dispute, con la lotta, simbolo della maternità e del sacro Bambino al quale tutta la vita umana è in realtà rivolta.

“La Parola è risuonata”, ella disse, “sta per giungere un guerriero di nome Ercole, un figlio dell’uomo anche figlio di Dio; a lui devo consegnare il cinto che porto. Dobbiamo obbedire, o Amazzoni, o schierarci contro la parola di Dio?”  E mentre esse ascoltavano la loro regina e riflettevano sul problema, nuovamente risuonò una parola, facendo sapere che egli era già là, in anticipo e stava attendendo di prendere il sacro cinto della battagliera regina.

Incontro al figlio di Dio, anche figlio dell’uomo, andò Ippolita, regina guerriera. Egli combatté con lei senza ascoltare le belle parole che ella cercava di rivolgergli. Le strappò il cinto, ma ella aveva già alzato le mani per offrirglielo in dono: gli offriva il simbolo dell’unione e dell’amore, del sacrificio e della fede. Ercole, afferrando il cinto, la massacrò, uccidendo colei che gli donava ciò che egli cercava. Stando accanto alla regina morente, pentito da ciò che aveva fatto, udì il suo Istruttore che gli diceva: “Figlio mio, perché uccidere ciò che è necessario, vicino e caro? Perché sopprimere colei che ami, la dispensatrice di doni, la custode del possibile? Perché uccidere la madre del Sacro Bambino? Di nuovo dobbiamo segnalare un insuccesso. Di nuovo non hai compreso. Riscatta questo momento, prima di cercare di rivedere il mio volto.” Cadde il silenzio ed Ercole, stringendosi al petto il cinto, prese la via del ritorno, lasciando dietro di sé le donne addolorate, prive della loro guida e dell’amore.

Ercole ritornò sulle rive del grande mare. Presso una roccia a picco vide un mostro degli abissi marini che teneva fra le fauci la povera Esione. Le sue grida e i suoi lamenti salivano al cielo e colpirono le orecchie d’Ercole che, roso dal rimorso, vagava senza meta. Si lanciò prontamente per aiutarla, ma era troppo tardi. Ella sparì nella gola cavernosa del serpente di mare, il mostro dalla triste fama. Senza pensare a sé, il figlio dell’uomo, anche figlio di Dio, si gettò tra le onde e raggiunse il mostro che, voltandosi di scatto, con spaventosi ruggiti, spalancò l’enorme bocca verso di lui. Ercole allora si precipitò nel rosso tunnel della gola del mostro in cerca di Esione e la trovò nel profondo ventre del mostro. Col braccio sinistro l’afferrò tenendola stretta, mentre con la sua fida spada si aprì la via nel ventre del serpente verso la luce del giorno. Così la salvò, bilanciando la sua precedente azione di morte. Poiché tale è la vita: un atto mortale, un fatto vitale, fanno apprendere ai figli degli uomini, anche figli di Dio, la saggezza, l’equilibrio e come procedere verso Dio. Dalla Camera del Consiglio del Signore, il grande Reggente osservava insieme al Maestro che sedeva al suo fianco. Ercole riattraversò la sesta Porta col cinto e la fanciulla. Il Maestro allora disse: “La sesta fatica è compiuta. Hai ucciso chi ti amava e che, benché incompresa e misconosciuta, ti aveva dato l’amore e il potere che ti erano necessari. Hai salvato chi aveva bisogno di te e di nuovo i due sono uno. Pondera in modo nuovo sulle vie della vita; rifletti sulle vie della morte. Và e riposa, figlio mio.”

IL TIBETANO

(Fonte: Alice A. Bailey, Le Fatiche di Ercole)


Commenti