La dodicesima fatica di Ercole - PESCI

LA DODICESIMA FATICA

La Cattura dei Buoi di Gerione

(Pesci, 20 Febbraio - 20 Marzo)

Il Mito

Nella sacra Camera del Concilio, Colui Che Presiedeva rivelò al Maestro la Volontà di Ciò che Deve Essere.

“Egli è perduto e ritrovato; morto eppur vibrante di Vita. Il servitore diviene il salvatore e ritorna alla sua dimora.” Il Maestro rifletté, poi chiamò Ercole e gli disse: “Ora sei innanzi all’ultima porta, ti rimane ancora una fatica prima di completare il circolo ed ottenere la liberazione. Và in quel luogo oscuro chiamato Erizia, dove la Grande Illusione regna sovrana, dove Gerione, il mostro a tre teste, tre corpi e sei mani, è signore e re. Illegalmente egli tiene con sé una mandria di buoi dal colore rosso cupo. Tu devi portare questa mandria da Erizia alla nostra Sacra Città. Fai attenzione ad Eurizione, il pastore e al suo cane a due teste, Ortro”. Poi fece una pausa e proseguì lentamente dicendo: “Un consiglio posso darti: Invoca l’aiuto di Elio.”

Passando per la dodicesima Porta, il figlio dell’uomo, che era anche figlio di Dio, s’avviò in cerca di Gerione. In un tempio Ercole fece offerte ad Elio, il dio del fuoco solare. Meditò per sette giorni ed alla fine gli fu concesso un favore; un calice d’oro cadde al suolo davanti ai suoi piedi. Egli intuì che quest’oggetto scintillante l’avrebbe messo in grado di attraversare il mare per raggiungere la terra di Erizia.

E così fu. Con la protezione del calice d’oro, egli salpò e veleggiò sull’agitato mare per giungere infine alla terra di Erizia. Ercole sbarcò così sulla spiaggia di quella lontana contrada.

Di lì a poco giunse sul luogo dove pascolava la mandria dalla tinta rossastra, che era sotto la sorveglianza del pastore Eurizione e del cane Ortro, dalla doppia testa.

Quando Ercole si avvicinò, il cane gli si scagliò contro come una freccia che vola dritta verso il bersaglio, urlando e grugnendo orribilmente, spalancando con ferocia le nude zanne. Ercole abbatté il mostro con un colpo decisivo. Allora Eurizione, spaventato dal valoroso guerriero che gli stava dinanzi, supplicò di avere salva la vita. Ercole gli concesse quanto chiedeva. Spingendo la rossa mandria davanti a sé, Ercole tornò indietro e si avviò verso la Città Sacra. Non era andato ancora molto lontano che scorse a distanza una nube polverosa che cresceva rapidamente in grandezza. Immaginando che il mostro Gerione l’inseguisse in una corsa furiosa, si voltò per fronteggiare il nemico. Ben presto Gerione ed Ercole si trovarono faccia a faccia. Sbuffando fuoco e fiamme simultaneamente dalle sue tre teste, il mostro si slanciò su di Ercole lanciandogli contro un arpione che per poco non raggiunse il bersaglio. Ercole, saltando agilmente di lato, evitò il colpo mortale. Teso l’arco, fece poi volare una freccia che, nella sua corsa, pareva bruciasse l’aria e colpì il mostro nel fianco. La freccia fu scagliata con tale impeto che tutti e tre i corpi del feroce Gerione furono trafitti. Con un acuto stridulo e un grugnito disperato, il mostro vacillò e cadde per non rialzarsi mai più.

Ercole condusse quindi la mandria rossa e docile verso la Città Sacra. Il compito fu però difficile. Di tanto in tanto qualcuno dei buoi si smarriva ed egli doveva lasciare la mandria per andare a cercarli.

Attraversate le Alpi, condusse la mandria in Italia. Ovunque il male aveva trionfato, egli lo aveva fronteggiato con un colpo mortale e aveva ristabilito l’equilibrio in favore della giustizia.

Quando Erice, il lottatore, lo sfidò, Ercole lo abbatté così violentemente che egli non fu più in grado di rialzarsi. Quando il gigante Alcione gli scagliò contro una roccia di una tonnellata, Ercole la intercettò con la sua clava e la respinse contro colui che l’aveva lanciata, uccidendolo. Talvolta smarrì la via, ma sempre ritornò sui suoi passi per ritrovare il retto sentiero e procedere oltre. Sebbene provato da questa sua ultima fatica, Ercole riuscì infine a tornare. Il Maestro l’attendeva.

“Benvenuto, o figlio di Dio e anche figlio dell’uomo.” Così Egli salutò il guerriero al suo ritorno. “Il gioiello dell’immortalità è tuo. Con queste dodici fatiche hai superato tutto ciò che è umano e hai raggiunto il divino. Sei tornato alla tua dimora per non lasciarla mai più. Il tuo nome sarà scritto nel firmamento stellato, come simbolo che ricorderà a tutti i combattenti figli degli uomini il loro destino immortale. Le tue fatiche umane sono finite, ora inizia il tuo compito cosmico.”

Dalla Camera del Concilio si udì una voce che diceva: “Ben fatto, O Figlio di Dio.”

IL TIBETANO

(Fonte: Alice A. Bailey, Le Fatiche di Ercole)


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