«Ogni fiaba è uno specchio magicoche riflette alcuni aspettidel nostro mondo interiore,e i passi necessari per la nostra evoluzione dall’immaturità alla maturità.»Bruno Bettelheim
La piccola fiammiferaia
di Hans Christian Andersen

La protagonista di questa triste
fiaba è una ragazzina che vive tra persone che non si curano di lei e che,
mancando di qualunque attenzione alle sue necessità e alle sue potenzialità, la
lasciano da sola al buio e al freddo. Nel tentativo vano di portare a termine
ciò che le è stato ordinato, ella tenta di riscaldarsi come può, sprecando, di
fatto, l’unica risorsa che ha: i fiammiferi. Incapace di comprendere la futilità del suo
gesto, si accontenta di un fuoco effimero, scelta che di fatto si rivelerà
fatale. La fiaba si conclude in verità dicendo che ella viene ritrovata con le
guance rosse e il sorriso sulle labbra, a intendere che è morta felice, tra le
braccia della nonna, ‘nella gioia dell’anno nuovo’. Ma questa è solo
un’illusione.
Questa fiaba ci parla del pericolo di circondarsi di persone che non ci sostengono o che addirittura
ostacolano i nostri progetti, la nostra arte, la nostra vita. La mancanza di
sostegno può raffreddare pericolosamente la psiche e congelarci nell’angoscia,
nel senso di inutilità o nella collera. A volte, al posto dell’indifferenza o
del giudizio, riceviamo uno sterile conforto, che in nessun modo contribuisce a
darci nutrimento (o calore). Qual è la differenza tra conforto e nutrimento? Se
a una pianta che mostra segni di sofferenza perché posta in un luogo buio noi
rivolgiamo parole dolci senza trovarle una sistemazione più adeguata, questo è
conforto. Se la portiamo alla luce, dandole acqua, questo è nutrimento.
Quando siamo congelati nella
psiche, come la piccola fiammiferaia, quando la vita creativa si spegne
lentamente, tendiamo a elaborare sogni ad occhi aperti sul “come sarebbe se”,
ma queste fantasie sono letali perché, proprio come la protagonista, ci
ottundono e ci bloccano in situazioni compromettenti che prima o poi ci
sopraffanno. È così, che senza neanche accorgercene entriamo in un sonno
prolungato e la nostra creatività si affievolisce poco a poco (proprio come i
fiammiferi) fino a estinguersi.
La piccola fiammiferaia si dedica
a un commercio insensato, poiché vende l’unica cosa che potrebbe tenerla al
caldo. Vaga per le strade e prega i passanti di comprarle i fiammiferi: offre
la luce a poco prezzo. Prega che qualcuno acquisti un grandissimo valore in
cambio di una modestissima ricompensa (un penny). Ma vendere un valore in
cambio di poco produce un solo terribile effetto: un’ulteriore perdita di
energia. La protagonista della nostra fiaba decide di accendere i fiammiferi,
usa le sue risorse per fantasticare invece che per agire. Usa la sua energia
per qualcosa di effimero. E questo è ciò che accade quando, affascinati da
mille sogni, non ci preoccupiamo di agire per realizzarli.
È in queste condizioni che appare
la nonna affettuosa e gentile, un pericolo mortale, l’ottundimento che trascina
la bimba dal sonno alla morte. Un sonno che simboleggia la compiacenza con cui
tendiamo a dirci che va tutto bene, che possiamo sopportare, che non è grave,
che c’è ancora tempo (un altro fiammifero da accendere contro il freddo). È il
torpore della fantasia nociva in cui speriamo che ogni pena magicamente
sparirà.
Questa fiaba è di tipo nettuniano e può servire a risvegliare la nostra attenzione circa il pericolo, tipico del lato ombra di Nettuno, di lasciarsi irretire dall'illusione della fantasia che diventa nociva quando ci getta nella passività e nel vittimismo. Pertanto è una fiaba che potremmo anche abbinare al segno dei Pesci.
Questo articolo è basato su Donne che corrono coi lupi, di C.P. Estes.
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