Fiabe evolutive: Il pifferaio magico

«Ogni fiaba è uno specchio magico che riflette alcuni aspetti del nostro mondo interiore,e i passi necessari per la nostra evoluzione dall’immaturità alla maturità.»Bruno Bettelheim

Il pifferaio di Hamelin (o pifferaio magico) 
dei fratelli Grimm

“Nel paese di Hamelin, i cui abitanti avevano cacciato tutti i gatti perché ‘qualcosina costavano’ ci fu un’invasione di topi. I cittadini si riunirono in piazza per chiedere al sindaco una soluzione, ma questi non sapeva cosa fare. In quel momento, bussò alla sua porta un buffo personaggio vestito da giullare. Egli promise che avrebbe disinfestato la città grazie alla musica del suo flauto, che era in grado di condurre con sé oggetti, animali e uomini. Il sindaco accettò, promettendogli una ricompensa. Allora il pifferaio cominciò a suonare una dolce melodia e tutti i topi lo seguirono fino al fiume dove annegarono. Il pifferaio andò dal sindaco a chiedere il compenso, ma questi, d’accordo con tutti i cittadini, finse di non conoscerlo. Allora il pifferaio andò in piazza e cominciò a suonare un'altra melodia e tutti i bambini di Hamelin cominciarono a seguirlo fino a una grande montagna. Qui si aprì una porta. Tutti i bambini entrarono e nessuno dei bimbi fece più ritorno.” (Per leggere la fiaba per intero clicca qui: Il pifferaio magico)

Questa è la versione originale della fiaba ma, come spesso accade, nelle varianti moderne il finale è edulcorato e i bimbi fanno ritorno, grazie a uno di loro che era rimasto indietro. Attenendoci alla fiaba originale, la domanda nasce spontanea: che senso ha una fiaba senza un lieto fine? Se questa storia fosse stata tramandata come favola, siccome le favole si concludono con la morale, il senso sarebbe chiaro. Per avarizia i cittadini di Hamelin avevano cacciato i gatti e rifiutato di pagare il pifferaio, la morale sarebbe dunque: l’avidità si paga caramente.

Ma questa non è una favola, è piuttosto una fiaba e le fiabe non hanno morali. Con una morale sarebbe facile prendere le distanze, sarebbe facile condannare l’avarizia che diventa disonestà e porta a perdere i bambini. Senza morale prendere le distanze è più difficile. Ma questo è il compito delle fiabe. Nell’immagine dei bambini che danzano dietro al pifferaio c’è come un’indicazione. Non è chiaro cosa sia, ma è come un monito di cui sentiamo di dover tener conto. Perché si segue il pifferaio?

Ad Hamelin tutto comincia con la cacciata dei gatti perché ‘qualcosina costavano'. Possiamo dunque chiederci: quand’è che anche noi rinunciamo perché “qualcosina costa”? Magari non in termini di denaro, ma di tempo, energie o dipendenza, forse perché fare ciò che vogliamo significherebbe scontentare qualcuno che potrebbe allontanarsi? O perché, più subdolamente, non vogliamo rinunciare all’immagine che abbiamo di noi? Quante volte, in silenzio, ci diciamo: “posso farne a meno”, e rinunciamo per carenza di fiducia, di merito, di legittimazione esterna? Ma la rinuncia è sempre pericolosa; basta poco, infatti, perché le condizioni cambino e le rinunce risultino inutili. E’ allora che si presentano l’amarezza, il dubbio, lo sconforto. La rabbia, se siamo fortunati. Più sono le rinunce, più aumentano i pensieri che rodono, come i topi! Ed è per via dei troppi topi che poi c’è bisogno di un pifferaio.

Ecco dunque entrare in scena il nostro giullare, l’incantatore, quell’evento, occasione, persona che ci profila una soluzione. A questo punto, due sono le possibilità di lettura, la prima: possiamo interpretare il ruolo dei topi e seguire il pifferaio magico per accorgerci, solo troppo tardi, che ci stiamo perdendo. In questa lettura della fiaba, corriamo il rischio di farci ammaliare, allontanandoci dalla nostra natura e tradendo una promessa fatta, principalmente a noi stessi, nell’illusione (sconsiderata) di trovare sollievo da qualche altra parte. Qui, il prezzo da pagare è altissimo, si rischia di perdere la nostra integrità e la nostra innocenza (i bambini).

Nell’ipotesi numero due, il pifferaio rappresenta il grande risvegliatore, un personaggio giusto ma anche impietoso. È interessante infatti riflettere su come la giustizia nulla abbia a che fare con la bontà. Egli, se infrangerete il patto, sarà implacabile. È dunque essenziale essere onesti e mantenere le promesse fatte (a noi stessi) per ritrovare la nostra interezza, e far si che i bambini tornino a casa.

Nulla di tutto ciò sarà possibile senza rinunciare a qualcosa. Ma qui nella rinuncia, a differenza dell’inizio, da cui tutto ha avuto origine, non c’è possibilità di rimpianto. Essa non nasce, infatti, dall’incapacità, dal difetto, da una sottrazione codarda. Ora la rinuncia prende la mosse dal sacrificio, nel suo significato più nobile: ‘rendere sacro’ (sacrum - ficare, fare sacro) e rappresenta la capacità di offrire qualcosa in cambio di una promessa di libertà.

L’insegnamento è capire che non conta l’arrivo, conta la motivazione per la quale si sceglie. Quale musica vogliamo seguire? Quella che ottunde e anestetizza qualunque cosa ci sia da placare, o quella che risveglia il senso di ciò che siamo e la speranza, che è una promessa, di ciò che possiamo diventare?

Per essere preparati a questa scelta, occorre riconoscere la musica che ottenebra la mente, ossia tutto ciò che ci allontana da noi stessi. Qualunque cosa che non accenda una scintilla interiore, è quella musica. Ogni volta in cui percepiamo che un pezzetto di noi si spegne, stiamo rispondendo a quella musica. Il nostro compito è quello di diventare noi stessi il magico pifferaio e far sì che tutta la nostra vita risponda al nostro canto. Ma perché ciò si avveri, è necessario corrispondere il prezzo pattuito perché, qualunque esso sia, ne varrà sempre la pena. Solo a queste condizioni i bambini saranno salvi.

Ringrazio il sito lefiabesanno.com per gli spunti e le ispirazioni.

Commenti