«Ogni fiaba è uno specchio magico che riflette alcuni aspetti del nostro mondo interiore,e i passi necessari per la nostra evoluzione dall’immaturità alla maturità.»Bruno Bettelheim
Il pifferaio di Hamelin (o pifferaio magico)
dei fratelli Grimm

Questa è la versione originale
della fiaba ma, come spesso accade, nelle varianti moderne il finale è
edulcorato e i bimbi fanno ritorno, grazie a uno di loro che era rimasto
indietro. Attenendoci alla fiaba originale, la domanda nasce spontanea: che
senso ha una fiaba senza un lieto fine? Se questa storia fosse stata tramandata
come favola, siccome le favole si concludono con la morale, il senso sarebbe
chiaro. Per avarizia i cittadini di Hamelin avevano cacciato i gatti e
rifiutato di pagare il pifferaio, la morale sarebbe dunque: l’avidità si paga
caramente.
Ma questa non è una favola, è
piuttosto una fiaba e le fiabe non hanno morali. Con una morale sarebbe facile
prendere le distanze, sarebbe facile condannare l’avarizia che diventa
disonestà e porta a perdere i bambini. Senza morale prendere le distanze è più
difficile. Ma questo è il compito delle fiabe. Nell’immagine dei bambini che
danzano dietro al pifferaio c’è come un’indicazione. Non è chiaro cosa sia, ma
è come un monito di cui sentiamo di dover tener conto. Perché si segue il
pifferaio?
Ad Hamelin tutto comincia con la
cacciata dei gatti perché ‘qualcosina costavano'. Possiamo dunque chiederci:
quand’è che anche noi rinunciamo perché “qualcosina costa”? Magari non in
termini di denaro, ma di tempo, energie o dipendenza, forse perché fare ciò che
vogliamo significherebbe scontentare qualcuno che potrebbe allontanarsi? O
perché, più subdolamente, non vogliamo rinunciare all’immagine che abbiamo di
noi? Quante volte, in silenzio, ci diciamo: “posso farne a meno”, e rinunciamo
per carenza di fiducia, di merito, di legittimazione esterna? Ma la rinuncia è
sempre pericolosa; basta poco, infatti, perché le condizioni cambino e le
rinunce risultino inutili. E’ allora che si presentano l’amarezza, il dubbio,
lo sconforto. La rabbia, se siamo fortunati. Più sono le rinunce, più aumentano
i pensieri che rodono, come i topi! Ed è per via dei troppi topi che poi c’è
bisogno di un pifferaio.
Ecco dunque entrare in scena il
nostro giullare, l’incantatore, quell’evento, occasione, persona che ci profila
una soluzione. A questo punto, due sono le possibilità di lettura, la prima: possiamo
interpretare il ruolo dei topi e seguire il pifferaio magico per accorgerci,
solo troppo tardi, che ci stiamo perdendo. In questa lettura della fiaba, corriamo
il rischio di farci ammaliare, allontanandoci dalla nostra natura e tradendo
una promessa fatta, principalmente a noi stessi, nell’illusione (sconsiderata)
di trovare sollievo da qualche altra parte. Qui, il prezzo da pagare è
altissimo, si rischia di perdere la nostra integrità e la nostra innocenza (i
bambini).
Nell’ipotesi numero due, il
pifferaio rappresenta il grande risvegliatore, un personaggio giusto ma anche
impietoso. È interessante infatti riflettere su come la giustizia nulla abbia a
che fare con la bontà. Egli, se infrangerete il patto, sarà implacabile. È
dunque essenziale essere onesti e mantenere le promesse fatte (a noi stessi)
per ritrovare la nostra interezza, e far si che i bambini tornino a casa.
Nulla di tutto ciò sarà possibile
senza rinunciare a qualcosa. Ma qui nella rinuncia, a differenza dell’inizio, da cui tutto ha avuto origine, non c’è possibilità di rimpianto. Essa non nasce,
infatti, dall’incapacità, dal difetto, da una sottrazione codarda. Ora la
rinuncia prende la mosse dal sacrificio, nel suo significato più nobile:
‘rendere sacro’ (sacrum - ficare, fare sacro) e rappresenta la
capacità di offrire qualcosa in cambio di una promessa di libertà.
L’insegnamento è capire che non
conta l’arrivo, conta la motivazione per la quale si sceglie. Quale musica vogliamo
seguire? Quella che ottunde e anestetizza qualunque cosa ci sia da placare, o
quella che risveglia il senso di ciò che siamo e la speranza, che è una
promessa, di ciò che possiamo diventare?
Per essere preparati a questa
scelta, occorre riconoscere la musica che ottenebra la mente, ossia tutto ciò
che ci allontana da noi stessi. Qualunque cosa che non accenda una scintilla
interiore, è quella musica. Ogni volta in cui percepiamo che un pezzetto di noi si spegne, stiamo rispondendo a quella musica. Il nostro compito è quello di diventare noi stessi il magico
pifferaio e far sì che tutta la nostra vita risponda al nostro canto. Ma perché ciò si avveri, è necessario corrispondere il prezzo pattuito perché, qualunque esso sia, ne varrà sempre la pena. Solo a queste condizioni i bambini
saranno salvi.
Ringrazio il sito lefiabesanno.com per gli spunti e le ispirazioni.
Commenti
Posta un commento