L'arte di ascoltare

Ne L’arancio magico e altre fiabe popolari haitiane, Diane Wolkstein descrive l’entrata di un cantastorie nella piazza del mercato:

Cric?” è il richiamo del cantastorie haitiano quando ha una storia da raccontare. “Crac!” risponde il pubblico se vuole che il cantastorie inizi. Se non risponde con Crac!, il cantastorie non può cominciare.

“Cric?” vuol dire: ho qualcosa che voglio raccontarvi e ve lo racconto con tutta la mia bravura e tutto il mio cuore. “Crac!” vuol dire: ti aiuteremo a narrare la tua storia, prestandoti tutta la nostra attenzione e ascoltando quanto più profondamente possiamo. In questo interscambio la storia nasce come un evento che ha un’anima. 

Questo racconto, tratto dal libro Scrivere per crescere, di Deena Metzger, mi ha fatto molto riflettere sulla comunicazione interpersonale, perché il racconto non è solo la storia, la fiaba da enunciare in piazza, è soprattutto il racconto di sé, la propria narrazione personale, quella di cui facciamo dono quando scegliamo di aprirci con un’altra persona. 

C’è chi parla di sé con grande facilità, a volte anche in assenza d’interesse da parte dell’interlocutore (lo zodiaco in questo dà precisi indizi) e chi invece, molto più riservato, tiene per sé il proprio vissuto interiore, i propri stati d’animo, per imbarazzo, timidezza o semplice senso della privacy.

Poi c’è chi, invece, vorrebbe e ha bisogno di parlare ma lo fa solo in presenza di un elemento indispensabile: che chi ascolta sia interessato a quanto ha da dire. Quindi non è un senso di timidezza o riservatezza che frena queste persone dall’aprirsi, ma la semplice attesa di un segnale. Attendono il Crac! Allora, e solo allora, il racconto può avere inizio. 

Accade spesso che queste persone abbiano espresso il loro “Cric?” senza ricevere alcuna risposta in cambio. Spesso si tratta di piccoli segnali, di frasi apparentemente buttate lì, di esili richieste non troppo vistose, non troppo plateali. È un semplice Cric?

E accade anche che chi in quel momento riveste il ruolo di pubblico, manchi di rispondere con un Crac!, vuoi per distrazione, vuoi per egoismo, vuoi spesso per un eccesso di riservatezza che induce a pensare: se vuole me ne parla ma per non essere invadente, non chiedo. È così che, in un eccesso di discrezione e nel timore di risultare inopportuni si finisce con l’essere insensibili. O quanto meno, di apparire tali.

L’ascolto non è qualcosa che può essere dato per scontato. È possibile che il nostro interlocutore non sia interessato a ciò che abbiamo da dire, che non sia interessato a noi, o che sia semplicemente in un momento in cui non è in grado di porre sufficiente attenzione a ciò che abbiamo da dire. Per questo, è sempre consigliabile verificare il livello di disponibilità che c’è, da parte dell’altro, di ascoltarci. E ciò vale sia con un estraneo seduto accanto a noi sul treno con cui intavolare una conversazione casuale quanto, e sopratutto, se si tratta di aprire il nostro cuore. Sapendo questo, sarà altrettanto importante, qualora indossiamo i panni dell’ascoltatore, inviare il nostro Crac! Ciò significa principalmente avere il coraggio (e l’interesse innanzitutto) di porre una domanda in più (con la delicatezza e il rispetto che la questione richiede naturalmente) e di azzardare una “invasione di campo” che facilmente si evita con la semplice premessa: se non vuoi parlarne per me va bene, ma se ti fa piacere vorrei ascoltarti. 

Come narratori è nostro compito dire sempre “Crac!” (per informare chi di dovere che c’è qualcosa che abbiamo da dire) e accertarci che ci abbiano uditi. Ma come ascoltatori è nostro dovere assicurarci di rispondere “Cric!”, per comunicare a chi abbiamo di fronte che siamo interessati ad ascoltarlo con tutta l’attenzione possibile, senza darlo per scontato e soprattutto senza paura di essere inopportuni, perché quando si tratta di qualcuno che amiamo, non si è mai inopportuni. E, onestamente, quand'anche lo fossimo, è preferibile rischiare di essere inopportuni piuttosto che insensibili. 

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