Marina Valcarenghi usa la metafora del giardino per parlare del diritto al desiderio e, in
particolare di come, le donne, abbiano rinunciato o perso quel diritto.
Ognuno di noi farà quello che può mediando fra la natura del
suo giardino e le sue aspirazioni: potranno crescere margherite o pomodori o
orchidee; chi pianterà alberi d’alto fusto e chi rosai o lamponi: ciò che conta
è il piacere di trasformare un terreno in un giardino, e di riconoscere che
quello “è proprio il nostro giardino”.
“Esiste un giardino per ognuno di noi che ci viene
consegnato quando veniamo al mondo. A mano a mano che diventiamo grandi impariamo
a conoscerlo: non abbiamo deciso quanto è grande, né se sia o no bene esposto
al sole, se sia fertile o roccioso, arido o naturalmente bene irrigato e
neppure sappiamo per quanto tempo ci sia dato coltivarlo. Ma il compito
principale di tutta la nostra esistenza è di farlo fiorire, di farlo essere al
suo meglio.

Per coltivare un terreno, bisogna saperlo difendere,
recintarlo, sistemare un cancello, regolamentare le visite, escludere gli
importuni, i perdigiorno e i violenti; è, questo, un diritto-dovere in assenza
del quale nessuna coltivazione darà frutti.
Ma quando non è più
possibile coltivarlo, che senso ha avere un giardino? Nel mondo femminile
quel territorio è diventato via via sempre più evanescente fino a rifluire nell’immaginario
o a perdersi nell’inconscio e le donne hanno disimparato a difendere ciò che
non avevano più (il loro giardino). Si sono quindi adattate nel corso del tempo
a essere oggetti del desiderio, invece che soggetti, a vivere nei giardini
altrui, dei padri, dei fratelli, dei mariti e dei figli, di volta in volta e a
seconda dei casi come osservatrici passive, ospiti inerti, esperte nell’elargire
consigli o abili manipolatrici dei desideri altrui.
Nel tempo, noi donne abbiamo progressivamente riconquistato
il diritto ad avere il nostro giardino. Ma basta questo diritto a risolvere il
problema? Sembra proprio di no. Abbiamo in molti casi riscoperto il nostro giardino
ma non sappiamo dove siano finiti i semi, ci mancano gli attrezzi, ignoriamo
cosa ci piacerebbe farne e che cosa possiamo farne; non siamo capaci di
difenderlo e soprattutto non siamo per niente sicure di avere il diritto-dovere
di coltivarlo.”
Fonte: L’aggressività femminile, Marina Valcarenghi
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